Niente da dire sulla golosità dell’uovo di Pasqua, che il cioccolato sia al latte o fondente. Nulla da eccepire nemmeno sul significato simbolico della colomba pasquale. Ma avete mai provato la pastiera napoletana? Ecco, di fronte a lei qualsiasi dolce, pasquale e non, impallidisce. Ma come nasce questo dolce e questa tradizione unica?

A San Gregorio Armeno
Antenate piuttosto incerte, però, del dolce che noi conosciamo. Che, con ogni probabilità, nacque molto più tardi: nel XVI secolo. In un convento, come la maggior parte dei dolci napoletani. Probabilmente, quello di San Gregorio Armeno: un’ignota suora volle preparare un dolce in grado di associare il simbolismo cristianizzato di ingredienti come le uova, la ricotta e il grano, associandovi le spezie provenienti dall’Asia e il profumo dei fiori d’arancio del giardino conventuale. Quel che è certo è che le suore del convento di San Gregorio Armeno erano delle vere maestre nella preparazione delle pastiere, che poi regalavano alle famiglie aristocratiche della città. “Quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni – racconta la scrittrice e gastronoma Loredana Limone – dalla porta del convento che una monaca odorosa di millefiori apriva con circospezione, fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno e, spandendosi nei bassi, dava consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era la testimonianza della presenza del Signore”. Si dice che perfino l’ombrosa regina Maria Teresa D’Austria, “la Regina che non ride mai”, consorte del goloso “re bomba” Ferdinando II di Borbone, si fosse lasciata sfuggire un sorriso dopo un morso alla beneamata pastiera. “Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”, commentò Ferdinando.
La ricetta originale della pastiera napoletana
Sulla vera ricetta della pastiera napoletana, però, ognuno dice la sua e il dibattito ferve anche in terra partenopea. La ricetta classica prevede la preparazione di una frolla a base di farina, uova, strutto (o burro) e zucchero semolato da sistemare sul “ruoto”, la tipica tortiera in alluminio dai bordi lisci e leggermente svasati, alta 3-5 cm. Il “ruoto” più antico, però, consentiva di preparare pastiere più grandi visto che era alto addirittura 10 cm! Per il ripieno occorrono invece latte, zucchero, ricotta di pecora, chicchi di grano, burro, frutta candita, uova, vaniglia, vanillina, scorza d’arancia e di limone, acqua di fiori d’arancio e cannella in polvere. Il tutto da sormontare con le striscioline di frolla e poi da cuocere in forno, con spolverata di zucchero a velo finale.
“Vero” o precotto?
Un primo dubbio riguarda il grano: oggi il grano precotto è di gran lunga la soluzione più pratica, ma la pastiera diventa ancor più vera se si utilizzano i “normali” chicchi di grano, messi a bagno in acqua tiepida per diversi giorni. L’indomani il grano per la crema si farà cuocere assieme a latte, scorza di limone, zucchero, cannella, un baccello di vaniglia e un cucchiaino di burro chiarificato. Fino a quando il grano non avrà assorbito tutto il liquido. Alcune ricette, poi, ai chicchi preferiscono il grano frullato; altre, salomonicamente, si dividono a metà: metà grano in chicchi e metà frullato. La cannella, inoltre, spesso compare come ingrediente facoltativo. Nella versione della storica bottega Starace (oggi non più esistente) di piazza Municipio, poi, la ricotta non veniva unita alle uova ma a una raffinata crema pasticciera. Secondo la tradizione la pastiera va preparata il Giovedì Santo e consumata a Pasqua, per dar modo a tutti i sapori di amalgamarsi.